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La magnifica illusione di Cicognara

Venezia. Nel 1817 Leopoldo Cicognara, dal 1808 presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, riusciva finalmente ad aprire una grande pinacoteca, destinata non solo ad avere una funzione didattica per i giovani artisti, ma a celebrare la grandezza della pittura veneta. L’allestimento di questo museo di livello internazionale, le attuali Gallerie dell’Accademia, rappresentava anche un risarcimento rispetto al grave depauperamento del patrimonio artistico della città, accelerato dalla fine della Repubblica, quando tanti capolavori erano usciti dalle collezioni di un’aristocrazia impoverita, dalle chiese e dalle scuole soppresse. A duecento anni da questo evento, dal 29 settembre al 2 aprile 2018 la mostra «Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia», ideata e curata da Paola Marini, Fernando Mazzocca e Roberto De Feo, intende ricostruire un periodo particolarmente significativo della storia di Venezia, quando, attraverso la tutela del passato e la rinascita dell’arte contemporanea, si pensò di poter recuperare l’antico splendore, quella gloria che dopo la perdità dell’indipendenza, avvenuta nel 1797 per mano delle armate della Francia rivoluzionaria, sembrava scomparsa per sempre. Questa magnifica illusione, destinata a lasciare il suo esito più tangibile in quello splendido museo dedicato alla magnificenza della tradizione veneziana del colore, era iniziata nel 1815 con il ritorno da Parigi delle opere simbolo della città, i quattro cavalli bronzei e il leone di San Marco sottratti nel 1797 dall’esercito napoleonico e portati a Parigi come preda di guerra, e finirà nel 1822 con la morte, avvenuta proprio a Venezia, di Antonio Canova. Il grande scultore, che con le sue opere scandisce il percorso della mostra, era allora considerato il maggiore artista vivente. Con tutto il suo potere e il suo prestigio, aumentati considerevolmente quando era riuscito a recuperare i capolavori requisiti dai francesi all’Italia sconfitta, appoggiò l’amico Cicognara che fu il grande regista di questi anni esaltanti, impegnato sul doppio fronte della difesa e della valorizzazione del patrimonio artistico e del sostegno dei giovani artisti, allora allievi dell’Accademia. Con Canova puntò soprattutto su Hayez, mandato a formarsi a Roma, dove rimase tra il 1809 e il 1817, convinto che avrebbe restituito alla pittura italiana l’antica grandezza, quella a cui Canova aveva riportato la scultura, sollevandola addirittura al livello degli antichi. Se Canova era celebrato come il nuovo Fidia, Hayez sarà individuato come il moderno Tiziano, un pittore da lui molto amato e studiato, di cui allora si potevano ammirare in Accademia due capolavori straordinari come la «Presentazione della Vergine al Tempio», ancora in sito, e la pala dell’«Assunta» che lì trasferita, per salvaguardarla e valorizzarla, dalla Basilica dei Frari vi farà ritorno dopo un secolo. Il futuro protagonista del Romanticismo, l’autore del popolarissimo «Bacio», è con Cicognara e Canova l’altro personaggio principale delle vicende rievocate in questa mostra dove le sculture di Canova entrano in un suggestivo dialogo con i suoi dipinti. Ancora il dialogo non solo tra scultura e pittura, ma anche con le arti decorative, che grazie soprattutto a un artefice versatile come Giuseppe Borsato sembrarono ritrovare la tradizionale eccellenza, compare in quello che costituisce il cuore della rassegna. Si tratta di un vero evento rappresentato dal recupero delle opere che costituivano il cosiddetto «Omaggio delle Provincie Venete». Nel 1817, in singolare coincidenza con l’apertura delle Gallerie, era stato celebrato il quarto matrimonio dell’imperatore Francesco I d’Austria con Carolina Augusta di Baviera. Fu Cicognara a ottenere, anche con l’appoggio del potente cancelliere il principe di Metternich, di destinare la notevole somma che le «Provincie Venete» erano tenute a versare come tributo alle nozze imperiali alla realizzazione di una serie di opere d’ arte per arredare l’appartamento della nuova imperatrice. Ne sarebbero stati autori i più promettenti tra i giovani artisti veneti, tra cui gli allievi dell’Accademia. La proposta venne accettata alla condizione che fosse presente anche un’opera del veneto Canova, il quale con la consueta generosità mise a diposizione un capolavoro come la «Polimnia», una magnifica statua a figura intera sedente che rappresentava la Musa della Storia. Tutte le opere dell’«Omaggio», quadri, sculture e magnifici pezzi di decorazione, tra cui un inedito dipinto di Hayez e uno strepitoso tavolo con preziosi inserti decorativi progettato da Giuseppe Borsato, sono andate disperse tra vari eredi degli Asburgo. Dopo anni di complicate e avventurose ricerche sono state recuperate da Roberto De Feo e ora possono essere di nuovo presentate in quella stessa Accademia dalla quale sono partite duecento anni fa per la corte di Vienna. Il ritrovato fascino di Venezia attrasse in quegli anni un personaggio di fama mondiale come Lord Byron, che divenne protagonista nei più vivaci salotti intellettuali come quello di Isabella Teotochi Albrizzi, la de Staël italiana grande amica e studiosa di Canova. Al grande scultore il poeta inglese dedicò dei versi bellissimi destinati ad alimentarne il mito cui è dedicata un’importante sezione della mostra. Un mito destinato a sopravvivere alla sua morte che proprio a Venezia venne celebrata come un lutto nazionale. ...

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